Le aritmie (alterazioni del normale ritmo del cuore) sono tra le cause più frequenti di eventi fatali in giovani apparentemente sani o con identificata cardiopatia.
Negli ultimi 20 anni grazie agli studi epidemiologici, allo sviluppo della medicina molecolare e alla disponibilità di tecniche di indagini non invasive ed invasive più sofisticate, si è in grado di procedere all’identificazione delle condizioni a maggior rischio di aritmie complesse e pericolose per la vita. Se dopo i 40 anni le aritmie complesse le ritroviamo prevalentemente in pazienti con malattia delle coronarie (infarto del miocardio) o con una storia di una qualche forma di malattia del muscolo cardiaco (miocardiopatia) o di alterazioni delle valvole del cuore, nei soggetti più giovani questi eventi si riscontrano in pazienti con alterazioni (mutazioni) di geni che intervengono nella formazione di componenti delle pareti del cuore (le pareti del cuore sono costituite da elementi cellulari detti miociti, che oltre alle comuni funzioni di una cellula sono forniti di una struttura aggiuntiva (sarcomero) che permette loro di svolgere la funzione specifica della contrazione).
Le mutazioni possono interessare geni responsabili della struttura e funzionamento di differenti elementi di un miocita, come i mitocondri (centrale energetica di una cellula), le proteine del sarcomero (centrale dell’azione meccanica del miocita), o dei canali attraverso i quali passa la comunicazione tra la parte cellulare del miocita ed il sarcomero (ioni potassio, sodio, calcio). Il desmosoma è un sistema complesso che ha il compito di tenere unite due cellule e nel cuore due miociti, in maniera che le pareti risultino compatte e possano svolgere al meglio la loro funzione.
Alla formazione del desmosoma partecipano numerosi geni; una mutazione di uno o più di questi geni rende precaria la stabilità del sistema di coesione tra elementi cellulari e porta ad un danno funzionale e/o strutturale delle pareti del cuore, creando così il terreno per lo svilupparsi delle aritmie. Le mutazioni di geni coinvolti nella formazione del desmosoma causano le cosiddette cardiomioapatie aritmogene, in cui aree più o meno estese di miociti che costituiscono le pareti dei ventricoli (solitamente è più interessato il ventricolo destro, da qui la denominazione di cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro) vengono sostituiti da grasso (adiposi) o fibrosi (piccole cicatrici). La presenza di una mutazione non sempre si traduce in un danno o comunque non in un danno della stessa severità; queste differenze dipendono dalla forza della mutazione (penetranza): una bassa penetranza può tradursi in assenza di malattia (il portatore è un “carrier” apparentemente sano che però potrà trasmettere la mutazione nella discendenza); una penetranza di media entità si tradurrà in una forma di malattia solitamente non severa e a comparsa più tardiva, mentre un’alta penetranza si manifesterà con una malattia severa e a precoce comparsa.
Aritmie capaci di mettere a rischio la vita si ritrovano in giovani pazienti operati per una cardiopatia congenita complessa nei quali la ricostruzione chirurgica ha prodotto cicatrici o alterazioni della funzione del cuore, substrati ideali per lo sviluppo di instabilità elettrica.
A differenza di un cardiopatia congenita, la presenza di una mutazione può essere ereditata ( sarà presente in altri componenti della famiglia) o può nascere ex novo in un paziente. Una efficace stratificazione del rischio aritmico (identificare e quantificare il rischio per un soggetto di soffrire di eventi aritmici gravi) inizia pertanto con un’attenta ricostruzione (anamnesi) della storia famigliare con particolare riferimento alla presenza nella famiglia di decessi avvenuti improvvisamente senza apparenti cause in giovani anche nelle generazioni precedenti. Uno screening di routine deve interessare tutti i componenti di una famiglia nella quale si è verificato un decesso improvviso di un giovane sotto i 40 anni senza segni apparenti di malattia o in presenza in una famiglia di membri con sospetto di malattia. Indagini diagnostiche più avanzate riguarderanno soggetti in cui il dubbio di malattia diventa più forte. Una efficace stratificazione deve prevedere uno screening di routine come l’ecg, l’ECG-Holter, l’ecocardiogramma, l’elettrocardiogramma amplificato e una prova da sforzo. Quando diventa forte il sospetto della presenza di malattia si procede con esami di “imaging” avanzato come una risonanza magnetica o addirittura con esami invasivi; identificato il paziente in cui il sospetto di malattia è concreto, costui diventa il “probando”, cioè il primo individuo esaminato di una famiglia, in cui si riscontra un determinato carattere, e attraverso il quale, perciò, si scopre la famiglia portatrice di tale carattere. Il probando viene sottoposto ad indagine genetica per l’identificazione di una eventuale mutazione. Nel corso degli ultimi 20 anni abbiamo imparato che mutazioni interessanti geni diversi danno la stessa manifestazione clinica (espressione fenotipica). Al momento sono stati identificati mutazioni interessanti 15 geni responsabili di malattia, pertanto l’indagine genetica è in grado di dare una risposta solo a poco più della metà dei pazienti con segni clinici di malattia o appartenenti a famiglie affette. Questa percentuale tenderà a ridursi nel tempo, a mano a mano che altre mutazioni saranno identificate.
Una diagnosi clinica corroborata da una stratificazione del rischio aritmico, anche se non supportata dalla genetica, permette di mettere in atto non solo provvedimenti terapeutici efficaci, ma anche di attuare misure di prevenzione che non compromettano inutilmente la qualità della vita.